“L’ESG è diventato un elemento fondamentale della relazione tra imprese e investitori”

I criteri ESG (Ambiente, Società e Governance) sono i tre pilastri dell’analisi extra-finanziaria che permettono di valutare il modo in cui le aziende tengono conto delle sfide legate all’ambiente e ai loro stakeholder (dipendenti, partner, subappaltatori e clienti). Considerando l’importanza sempre maggiore che queste tematiche acquisiscono per gli investitori, Marie-Claire Daveu, Direttrice dello sviluppo sostenibile e delle relazioni istituzionali internazionali di Kering, e Jean-Marc Duplaix, Direttore finanziario del Gruppo, ci spiegano cosa pensano delle sfide e delle opportunità rappresentate da questa tendenza di fondo e descrivono le questioni prioritarie per i prossimi anni.

Notate un interesse sempre maggiore per le tematiche ESG nelle vostre relazioni con gli investitori?

Jean-Marc Duplaix: Sì, l’ESG oggi è diventato un elemento fondamentale nella relazione tra aziende e investitori, e più in generale nel capitalismo moderno. Non è stato sempre così. Da circa 10 anni, osserviamo una progressiva presa di coscienza dell’importanza delle sfide economiche legate all’ambiente. Talvolta emerge anche una mancanza di maturità nelle azioni e nella comunicazione di alcune aziende o addirittura una tendenza al greenwashing. Tuttavia, da un paio d’anni circa, e soprattutto ora con la crisi causata dal Covid-19, credo che siamo davvero a un punto di svolta. Gli investitori hanno osservato che le aziende con un funzionamento “sano”, cioè che integrano sul serio le questioni ambientali, sociali o di governance nella propria strategia, realizzano migliori performance operative e finanziarie. La percezione è cambiata e per gli investitori l’ESG, considerato in passato un elemento interessante ma non essenziale, oggi è diventato un must. E noi ne siamo entusiasti!

Marie-Claire Daveu: In effetti questo argomento è diventato sempre più centrale negli ultimi due anni. Ce ne rendiamo conto in particolare se consideriamo l’aumento delle richieste che riceviamo da parte degli investitori. Le loro richieste e le domande, inoltre, diventano sempre più precise. E questa tendenza non riguarda solo i fondi specializzati, ma tutti gli attori finanziari, compresi i più importanti.

È interessante constatare che le tematiche ESG si sono imposte anche nell’ambito della gestione del rischio. Alcune imprese sono ora consapevoli che fenomeni come il cambiamento climatico o la perdita di biodiversità hanno conseguenze dirette sulla loro attività e possono anche metterla in pericolo. Gli incendi recenti in California e Australia hanno sicuramente rafforzato questa tendenza: è la realtà che viviamo e non possiamo più restare a guardare. Inoltre, sebbene i media parlino maggiormente delle questioni ambientali, acquisiscono sempre più centralità anche le sfide sociali e di governance. La nuova generazione di clienti, più attenta al comportamento dei marchi, ha quindi consentito ad alcuni attori di misurare i rischi legati alle condizioni di lavoro dei loro fornitori, e questo può minacciare direttamente la reputazione di un brand. Tutto questo ha contribuito a far emergere l’esigenza dei fattori ESG nella sfera finanziaria.

JMD: I promotori di questa tendenza sono anche i risparmiatori e gli investitori, che non vogliono più investire in settori problematici, per ragioni etiche ma anche pragmatiche: il rischio è troppo grande.

Non c’è quindi contraddizione tra redditività e performance ESG?

JMD: Non bisogna pensare che gli investitori puntino solo al rendimento a breve termine o alla redditività a tutti i costi. Oggi sanno bene che un’azienda che investe nell’ESG raccoglierà i suoi frutti attirando i migliori talenti, fidelizzando i consumatori attenti a queste questioni, guadagnando in efficienza e proteggendosi da tutta una serie di rischi. Per numerosi investitori la questione della governance è d’altronde quella più importante. Un’azienda la cui governance non è sana è un’azienda che non si preoccupa del suo ecosistema, dei dipendenti, dei fornitori e dell’ambiente, in senso proprio e in senso ecologico.

Naturalmente gli investitori interessati ai fattori ESG devono cercare percorsi virtuosi, che non vadano a scapito delle performance aziendali. Noi di Kering siamo convinti che le questioni ambientali, sociali e di governance debbano essere integrate nel modello di business. È anche per questo che lavoriamo per migliorare la tracciabilità delle nostre azioni.

MCD: Abbiamo la fortuna di avere un CEO doppiamente convinto dell’importanza di rendere lo sviluppo sostenibile centrale nella nostra strategia: per motivi etici, ma anche perché è fondamentale per il business. E lo stesso vale per le questioni di diversità e di inclusione, per le condizioni di lavoro presso i nostri fornitori e per la governance.

Aggiungerei anche che spetta a noi spiegare agli investitori e agli stakeholder che le nostre azioni relative ai fattori ESG hanno un effetto positivo globale, che va oltre l’impatto sulla redditività di una singola azienda. Consideriamo un esempio concreto: il Gruppo investe nell’intelligenza artificiale per perfezionare le previsioni di vendita delle Maison e per adattare le produzioni alle aspettative dei clienti. Questo ha un impatto diretto sugli stock, sulla logistica e quindi sulla redditività, ma anche sul nostro consumo di materie prime e sulla nostra impronta di carbonio. Sicuramente non possiamo ancora quantificare tutte le conseguenze, ma la comunità finanziaria ha accolto queste questioni molto rapidamente e accoglie favorevolmente la logica dell’ESG in termini di creazione di valore.

I feedback degli investitori possono orientare la strategia e le azioni di Kering in termini di ESG?

MCD: Il nostro impegno su queste questioni è di lunga data, è centrale nella nostra visione e nella nostra strategia. Questo ci ha permesso di essere in una posizione di vantaggio. Ad esempio, grazie al conto economico ambientale possiamo quantificare il nostro impatto ambientale in valore monetario sull’intera catena di approvvigionamento. In questo modo abbiamo una visione molto precisa dei nostri impatti e possiamo ottimizzare i progressi. Da anni lavoriamo anche sulle questioni sociali, attraverso la nostra politica di risorse umane in azienda, naturalmente, ma anche sull’intera catena del valore prestando ad esempio particolare attenzione all’esemplarità dei nostri fornitori. Da diverso tempo siamo attivi sulle questioni che preoccupano gli investitori e questo rafforza il nostro slancio e la nostra volontà.


La pressione degli investitori è una dinamica positiva non solo per Kering, ma per tutte le aziende, in particolare quelle che non beneficiano dello stesso livello di determinazione della direzione. Tutti gli attori economici giungono progressivamente alle stesse conclusioni in relazione ai propri investitori, e questo crea un circolo virtuoso.

A tal proposito, è interessante osservare come la comunicazione finanziaria stia cambiando, intrecciando tematiche un tempo separate come lo sviluppo sostenibile e la finanza. Lo sviluppo del rapporto integrato, in particolare, mi sembra molto positivo. Permettendo agli investitori di avere una visione precisa dell’integrazione dei criteri ESG nella strategia aziendale e del loro impatto sulla performance, il rapporto integrato aiuta a comprendere in cosa esattamente l’ESG è un vettore di creazione di valore per tutti.


Kering ESG


Secondo voi, quali sono gli ambiti prioritari in cui intervenire in materia di ESG?

JMD: L’assenza di indicatori comuni per misurare le performance delle aziende rappresenta un problema. Ogni paese ha i propri dispositivi di regolamentazione ed esistono diverse iniziative, classificazioni, indici, ecc. Tuttavia, senza delle norme condivise, su che base un’azienda può valutare la sua performance? Come confrontare le performance delle aziende?

In ambito finanziario si fa riferimento a un corpus di norme riconosciute da tutti, che permette a tutti gli attori di parlare una lingua comune. La finanza ha definito delle regole ben precise delle sue pratiche, perché esiste ormai da secoli. Penso che nei prossimi quattro-cinque anni, assisteremo a un’uniformizzazione dei sistemi di riferimento ESG. Quando un’azienda vuole emettere un green bond, un’obbligazione verde, l’iniziativa ha senso solo se si possono stabilire dei criteri di analisi e degli obiettivi che condizionano il costo dell’emissione.

MCD: A tal proposito, è apprezzabile il lavoro svolto dalla Commissione europea sulla tassonomia verde: un sistema di classificazione delle attività economiche sostenibili che offre un quadro comune agli attori europei. È una prima tappa molto interessante. Naturalmente speriamo che diventi rapidamente qualcosa di concreto e che questa logica si diffonda a libello globale. La finanza ha questa capacità di cambiare le cose in profondità, in maniera irreversibile e globale, attraverso i suoi regolamenti e le norme. Sicuramente definire criteri omogenei e condivisi potrà risultare complesso in alcuni ambiti, in alcuni casi sarà necessario più tempo. Per il clima, ad esempio, le aziende dispongono ormai della CO2 equivalente per le emissioni di gas serra per misurare i loro impatti e i progressi; risulta invece più complesso definire un sistema di riferimento quantitativo comune per la biodiversità. Bisogna quindi essere pragmatici e imparare man mano che si va avanti, con un mix di criteri qualitativi e quantitativi in un primo momento, perché la questione è urgente.