“L’ESG porta già i suoi frutti”

Cofondatrice dell’International Corporate Governance Network, Presidente di Leaderxxchange e vincitrice del premio Women in Asset Management – ESG 2019, Sophie L’Hélias lavora sulle politiche di governance delle imprese da oltre 20 anni. Essendo anche Amministratrice referente di Kering, ci parlerà oggi della sua visione sull’affermazione dell’ESG nel mondo degli investimenti.

Sophie L'Hélias

In che modo l’ESG è diventato centrale tra le preoccupazioni degli investitori?

Sophie L’Hélias: In realtà i tre pilastri dell’ESG sono più o meno sempre esistiti, ma non erano considerati in maniera interconnessa. Ci sono state diverse fasi. La governance, la “G”, è una questione centrale già da tempo: il mondo degli investimenti dimostra da anni che una buona governance crea valore. Per gli investitori, la governance è in qualche modo il “contratto di fiducia” tra loro e l’azienda, la garanzia che le decisioni vengono prese nell’interesse dell’azienda, dei suoi azionisti e di tutti gli stakeholder. Si interessano quindi molto a questo aspetto.

L’ambiente e il sociale, la “E” (environment) e la “S”, invece sono a lungo stati considerati solo da un punto di vista normativo sia dalle aziende che dagli investitori, sebbene ci siano importanti eccezioni. Per l’ambiente, è stato proprio il quadro normativo a modificare il comportamento delle aziende, in relazione ad esempio allo smaltimento dei rifiuti o alle emissioni di gas serra, con provvedimenti come il Protocollo di Kyoto del 1995 e più di recente l’Accordo di Parigi nel 2015, dopo la COP21.

La svolta è avvenuta di recente, con un’accelerazione particolarmente forte negli ultimi tre anni. L’ambiente e il sociale hanno iniziato a essere considerati come fattori di rischio e di opportunità1. Prima del 2016 sentivamo parlare molto poco di ESG, il termine è stato menzionato in media 4.000 volte all’anno dai media anglosassoni. Nel 2018 si è passati invece a 300.000 volte!

Come spiega questa svolta tra gli investitori?

Oltre alla normativa che crea un quadro, ciò che fa la differenza è la trasparenza dei dati e l’introduzione di nuove tecnologie che permettono di misurare e analizzare i rischi. Dal momento in cui le aziende hanno iniziato a condividere i dati sulle loro azioni legate al fattore ambientale e sociale, gli investitori hanno potuto stimare i rischi legati all’ESG, determinando ad esempio quali settori di attività sono più esposti al cambiamento climatico. Attualmente le nuove tecnologie permettono di raccogliere, confrontare e analizzare i dati e di gerarchizzare i rischi ESG. Consentono quindi di determinare quali rischi sono significativi o materiali rispetto alla strategia dell’azienda e alle aspettative dei suoi principali stakeholder.

A partire dai dati, raccolti da studi universitari, studi privati o dalle aziende stesse, gli investitori hanno potuto costruire delle strategie di investimento basate sull’ESG. Innanzitutto, delle strategie di esclusione, individuando delle attività controverse nelle quali preferiscono non investire. Parliamo ad esempio del tabacco, delle armi da fuoco o della pornografia. In seguito si sono sviluppate le strategie di inclusione: alcuni investitori hanno optato per gli indici che riuniscono le imprese che rispondono a una serie di criteri ESG, ad esempio parità ed emissioni di anidride carbonica. La terza strategia di investimento, l’integrazione, è più complessa; consiste nel selezionare un’impresa in particolare perché corrisponde a criteri di investimento precisi che tengono conto dei rischi, delle opportunità e delle performance ESG.

Bisogna anche notare che questa dinamica non si è sviluppata in maniera totalmente omogenea. Le aziende europee avevano una sorta di “predisposizione” per la RSI, e quindi l’ESG, per via delle normative sociali e ambientali in vigore in Europa. Le aziende americane, invece, hanno una cultura diversa e sono arrivate dopo. Paradossalmente uno degli elementi che ha fatto iniziare il processo di sviluppo è stata l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Gli investitori hanno avuto un lampo di genio: si sono appropriati dell’argomento e si sono uniti per avere un impatto. La dichiarazione del BRT di agosto 2019 ha inoltre segnato un punto di rottura con la logica a breve termine. L’Europa ha quindi avviato il processo, ma la sua diffusione e l’impatto passano per l’allineamento a queste strategie degli attori economici statunitensi e asiatici.

Tra vincoli e opportunità, cosa offrono i criteri ESG nel reporting delle aziende?

La domanda che si pongono le aziende è: come trasformare un rischio in opportunità? L’ESG porta già i suoi frutti, in particolare per l’innovazione. Così, la diminuzione delle materie prime, ad esempio, spinge le aziende del settore Moda a cercare nuove soluzioni, che diventano fonte di ispirazione per i creatori.

Allo stesso modo, la trasparenza delle aziende crea un circolo virtuoso nella loro relazione con gli stakeholder e in particolare con i clienti, i fornitori e i dipendenti. Consideriamo un esempio concreto nel settore del Lusso: i marchi di gioielli che hanno deciso di utilizzare oro “etico”, anche se i costi aumentavano, hanno contribuito a creare un circolo virtuoso. Innanzitutto, grazie all’aumento dei volumi di acquisto e alla generalizzazione della pratica la differenza di costo si è attenuata. In secondo luogo, questa pratica risponde alle aspettative dei clienti attenti al carattere responsabile dei loro acquisti.

Infine, così come le aziende lottano per affermarsi come “datori di lavoro di prima scelta” per attirare i migliori talenti, l’integrazione dell’ESG nella strategia aziendale e – elemento fondamentale – una vera trasparenza sulle azioni, i risultati e gli impatti permettono loro di imporsi come “investimenti di prima scelta” sui mercati finanziari.

La valutazione delle performance ESG da parte degli investitori è ostacolata dalla molteplicità di criteri e indici che esistono attualmente?

È vero, uniformare i criteri di analisi è indispensabile. Per gli investitori esistono due imperativi: la trasparenza e la possibilità di confrontare le informazioni. Sul primo le aziende hanno fatto molti passi avanti. Per il secondo, la proliferazione dei dati e dei fornitori di dati è un vero ostacolo alla qualità e pertinenza delle informazioni.

Gli investitori e le aziende insistono sull’armonizzazione dei criteri ESG. Si osserva una dinamica di consolidamento e raggruppamento dei fornitori di dati e delle strutture normative. Considerate il rilevamento di Trucost da parte di S&P, di Vigeo-Eiris da parte di Moody’s o di Sustainalytics da parte di Morningstar. Bisognerà tuttavia essere attenti: questi raggruppamenti, indispensabili, non devono portare all’opacità dei criteri di valutazione per risultati senza senso. Questi ultimi devono restare trasparenti. Sarebbe auspicabile che ognuno possa accedere ai dati grezzi e adottare un approccio open source.

Fa parte del Consiglio di amministrazione di Kering dal 2016, è amministratrice e portavoce del Consiglio presso gli investitori sulle questioni ESG. In cosa consiste questo ruolo?

Il Consiglio di amministrazione determina gli orientamenti dell’attività di una società definendone la strategia e supervisionando la sua applicazione. L’Amministratore indipendente rappresenta gli interessi di tutti gli azionisti in una prospettiva di creazione di valore sostenibile e a lungo termine. In qualità di Amministratrice referente, partecipo anche all’organizzazione dei lavori del Consiglio. Ad esempio, coordino la valutazione del Consiglio per garantire che comprenda le competenze chiave per il Gruppo. L’Amministratore referente è anche portavoce del Consiglio presso gli investitori sulle questioni ESG. Per questo ho partecipato agli ultimi road show organizzati da Kering su questa tematica. In questo contesto, interagisco con gli investitori: rispondo alle loro domande, in particolare sulla governance e il funzionamento del Consiglio di amministrazione, ma pongo loro anche delle domande sulle questioni che considerano fondamentali a lungo termine. Tutto questo rappresenta un lavoro considerevole per i team che organizzano e partecipano a questi eventi, ma si tratta di momenti appassionanti, istruttivi e davvero arricchenti per l’azienda e i suoi stakeholder.


1 Secondo il recente studio realizzato da LeaderXXchange e dalla Columbia University, oltre il 60% degli amministratori e il 70% degli investitori consultati sostiene che il rischio climatico abbia un impatto sulla loro attività.